Banche italiane, che stress: pronte richieste per 12 miliardi di euro

di Gianfilippo Verbani Commenta


 Sono manovre più grandi di noi, il cui senso a volte ci sfugge. Possiamo, qui e in questo caso, limitarci a rilanciarle in modo tale da mettervene a conoscenza, e con la speranza che il quadro vada a chiarirsi quanto prima possibile. Resta il fatto, come sempre meno spesso accade nel giornalismo (sempre più simile al blogging, dove al fatto si preferisce il commento), ossia che le banche italiane – un po’ perché strette d’assedio da Bankitalia, un po’ perché pagano le tensioni sui mercati azionari di questa prima metà del 2011 – sono pronte a chiedere al mercato ben 12 miliardi di euro sotto forma di aumento di capitale, doppiando il dato che invece era stato prodotto nel 2010 (quando gli aumenti di capitale erano stati 20 per un totale di 6,8miliardi di euro di controvalore, non avevano coinvolto il solo settore finanziario ed avevano visto grande protagonista Unicredit con ben 2 richieste).

12 miliardi di euro è infatti il valore che emerge dalla somma tra ricapitalizzazioni già andate in porto da inizio anno (2 miliardi per il Banco Popolare, 5 per Intesa), ancora in corso (UBI, per un miliardo, e MPS, 2,1 miliardi a partire da lunedì scorso) o già proposte (come gli 1,2 miliardi di BPMche saranno al vaglio dell’assemblea programmata per sabato prossimo). Ma l’ammontare delle risorse richieste dalle banche potrebbe crescere ulteriormente se Unicredit, come pare abbia intenzione di fare, ricorrerà per la terza volta in 24 mesi al mercato per rafforzare il proprio patrimonio: a quel punto, si potrà anche “migliorare” il record del 2009 quando 28 aumenti di capitale raccolsero 18,6 miliardi di euro.

Gli analisti sembrano infatti concordi nel credere che Unicredit possa ricapitalizzare per una cifra compresa tra i 4 e gli 8 miliardi di euro. Ma attenzione: i primi due aumenti di capitale messi in opera dalla banca lo scorso anno sono finiti sotto l’esame del board della banca, che ha deciso di ristrutturarli in modo da poter continuare a contarli come “core capital” benché l’operazione sia invisa ai controller.