I tassi e un aumento ormai da mettere in conto

di Daniele Pace Commenta


Il grande capo della Federal Reserve, ovvero Jerome Powell, nel corso di un’intervista di qualche tempo fa mise in evidenza come l’attività di stabilire i tassi di interesse si possa comparare un po’ alla navigazione celeste.

Al giorno d’oggi, con l’inflazione che sta montando alla svelta, è abbastanza diffusa la preoccupazione che la Fed possa un po’ aver perso la bussola. La prospettiva che si respira è quella di un’azione brusca e diversa rispetto al passato, provando a stringere i cordoni della politica monetaria in modo estremamente cruento.

Si tratta di una prospettiva che, come si può facilmente intuire, si sta facendo sentire anche sui mercati azionari. In effetti, sono diverse sia le aziende che tutti coloro che hanno delle case di proprietà che si sono cominciati a chiedere se quest’epoca di tassi molto bassi sia ormai sul punto di terminare.

In realtà, lo scenario in cui ci troviamo è caratterizzato da un alto grado di complessità. Nel breve termine la Fed deve necessariamente cambiare rotta, ma c’è un fattore che, nel lungo periodo, comporterà la presenza sempre di un tetto ai tassi di interesse. Stiamo parlando dell’invecchiamento della popolazione mondiale.

L’incremento dei tassi di interesse è chiaro che rappresenta un bel colpo al morale di tante persone, dal momento che ormai le abitudini in atto erano completamente diverse. Nemmeno una banca centrale facente parte del G7, negli ultimi dieci anni, ha stabilito dei tassi di interesse al di sopra della quota del 2.5%. E pensare che, invece, nel 1990 i tassi di interesse correvano “allegramente” al di sopra della soglia del 5%.

I finanziamenti caratterizzati da ottimi tassi di interesse ormai rappresentano un punto di forza delle economie più ricche. Infatti, offerto a tanti governi l’opportunità di tenere sotto controllo dei deficit a dir poco spaventosi, così come ha stimolato i prezzi delle attività a raggiungere livelli particolarmente alti, portando inevitabilmente a prendere in considerazione anche l’uso di altre tipologie di strumenti, come nel caso degli assegni di stimolo e dell’acquisto di obbligazioni, in maniera tale da garantire adeguato sostegno all’economia nel corso dei rallentamenti.

Tutto questo, quindi, porta facilmente a comprendere come il vero e proprio boom dei prezzi nel corso dell’ultimo anno e mezzo ha rappresentato una brutta sorpresa per la Fed e per tutte le altre banche centrali. Basti pensare come, sul suolo americano, i prezzi al consumo sono arrivati a toccare il 7%.