Nonostante gli sforzi compiuti dalla Banca Centrale Europea e quelli di Mario Draghi nel corso del 2014 non è avvenuto quell’atteso passaggio di liquidità dal mondo degli istituti di credito a quello produttivo che tutti si sarebbero aspettati. Le imprese italiane nel giro di un anno hanno infatti perso altri 6 miliardi di finanziamenti e l’economia reale non ha ancora tratto benefici dalle aste di liquidità messe in campo dalla Banca Centrale.
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Nel frattempo, tuttavia, nel corso del 2014 si è assistito ad un vero e proprio boom da parte delle sofferenze bancarie. I crediti in sofferenza presenti presso gli istituti italiani sono infatti saliti alla cifra record di 29 miliardi di euro, con un incremento pari al 25,5 per cento secondo quanto rilevato a fine anno dagli esperti della Cgia di Mestre. Se si va a guardare più indietro e si leggono i dati del 2011, si vede inoltre che a partire dal 2011, anno in cui in genere si fa risalire l’inizio del credit crunch, si scopre che l’incremento è stato complessivamente pari a 66 miliardi di euro, cioè l’85,4 per cento.
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Una diretta conseguenza di questo stato di cose e dell’alto rischio dell’aumento delle sofferenze bancarie è stato quindi il rivolgersi degli istituti di credit al mercato dei titoli di stato nazionali, come sistema per investire la liquidità in eccesso in alternativa agli impieghi. Tra il 2001 e il 2014 la quantità di Bot, Btp, Ctz e Cct è praticamente raddoppiata e la clientela istituzione è oggi una realtà importante del mercato.