Sud i prestiti in picchiata

di Gianfilippo Verbani Commenta


 Se la crisi si sente soprattutto al sud e se si vuole capire perché, conviene prendere nota di questi dati. Al di là delle proposte – per ora solo sulla carta – del ministro Sacconi («Sì alla cassa del mezzogiorno. Sì a maggiori investimenti in infrastrutture e turismo»), quello che resta è una polaroid deprimente. Poco troppo poco per una zona d’Italia. Le imprese del mezzogiorno raccolgono solo il 14% dei finanziamenti erogati dal sistema creditizio. E nel meridione si concentrano anche i libelli più alti di sofferenze bancarie. A 15 mesi dalla crisi finanziarie l’economia italiana si lecca le ferite e – considerando – i periodi pre-Lehman e post-Lehman – dall’analisi del Centro studi Sintesi emerge che la recessione ha colpito più duramente le imprese delle province comprese nei distretti industriali. Con balzi delle sofferenze a due cifre, per Reggio Emilia (meccanica) e Prato (tessile), poi Venezia, Mantova, Pordenone e Bergamo, provate dal calo dell’export di mobili, abbigliamento-calzaturiero e macchinari. La restrizione dei prestiti ha penalizzato quasi tutte le province dell’industria manifatturiera: per Biella (tessile), Ancona (tessile e meccanica) e Belluno (occhialeria) il rubinetto del credito si è chiuso oltre il 20%. Di segno opposto le dinamiche sul fronte delle famiglie: raccolta e prestiti sono cresciuti a un ritmo più sostenuto. Ma questo non deve ingannare. Sui ceti medi pesa ancora moltissimo la rata del mutuo. È l’immobile, infatti, a rappresentare la spesa più alta nel bilancio dei piccoli nuclei. Ecco perché, ad oggi, sono più di 2 milioni le persone che hanno accolto l’offerta dell’Abi (l’associazione banche italiana) e del governo che, grazie al piano famiglia, hanno deciso di venire incontro alla maggiorparte delle persone. Certo, talvolta i parametri per la richiesta sono un po’ troppo restrittivi, ma ad una mano tesa non si può certo dire di no. Non di questi tempi.